How to  make wine for the ages

Vino da invecchiamento, cosa c'è da sapere

Quali sono i fattori che consentono al vino di invecchiare 10, 20 o 50 anni? Come mai a volte si ha l’impressione che i vini del Nuovo Mondo non si prestino all’invecchiamento? Gavin Smith ne parla con Tor Kenward, Christian Moueix, Paul Roberts MS (Colgin) e altri per scoprire i segreti dei processi produttivi di un buon vino da invecchiamento. Quanto è importante oggi?

Che cosa si intende per “‘buon vino”‘? Per molti, si tratta della capacità di una bottiglia di migliorare negli anni. Secondo alcuni, la longevità del vino è un indice determinante di qualità. È vero che i vini invecchiati possono essere indimenticabili, poiché colgono l’’essenza di un tempo passato, impossibile da ricreare nel presente. Il processo di invecchiamento può essere fondamentale per l’evoluzione di un vino (o di un whisky) verso un livello di complessità diverso e ineguagliabile.

Eppure, il modo in cui un vino matura rimane una sorta di mistero, sia per il produttore, sia per il collezionista. Esistono ancora molte ipotesi su come e perché un vino si evolve e se’ vale la pena attendere. A differenza del whisky, il vino è molto meno stabile nel suo percorso verso la maturità. Secondo Christian Moueix, “il vino è una matrice complessa di migliaia di composti, sospesi in un delicato equilibrio”. È un equilibrio fragile, messo in pericolo ’dall’invecchiamento ed è quindi estremamente difficile prevedere la direzione che prenderà il vino.

Un tempo, gli appassionati di vino snobbavano il Nuovo Mondo. Oggi, fortunatamente, le cose sono cambiate e il Nuovo Mondo riceve il giusto riconoscimento per la produzione di vini pregiati. Ciononostante, c’è ancora chi ha qualche dubbio. Ad eccezione di qualche nome altisonante, gli intenditori tendono a bere i vini del Nuovo Mondo in versione molto più giovane rispetto ai loro equivalenti del Vecchio Mondo. Se chiedessimo a un qualsiasi appassionato quale sia la bottiglia con più anni di invecchiamento mai bevuta, di sicuro questa avrà origini europee: Bordeaux, Borgogna, Mosella, Alsazia o Douro.

Senza dubbio, il fattore disponibilità incide molto. Ad esempio, non è insolito bere un Bordeaux (anche di châteaux modesti) che abbia raggiunto la piena maturità, ovvero invecchiato 20 o 30 anni; questi vini continuano a essere regolarmente scambiati tra i collezionisti. Nel Nuovo Mondo, al contrario, è raro trovare vini che siano al culmine della maturità. Molte delle regioni emergenti del Nuovo Mondo non hanno ancora avuto la possibilità (né il tempo) di mettere insieme un catalogo così ampio. Eppure i vini hanno tutte le carte in regola per invecchiare in armonia, proprio come i loro omologhi.

Il maestro di Borgogna Jean-Marie Fourrier, che ora è anche alla guida della tenuta Bass Phillip nella penisola di Mornington, in Australia, ascrive ai vini del Nuovo Mondo una maggiore predisposizione all’invecchiamento, portando l’esempio dei Pinot Noir di Bass Phillip. La diffusione dei vini di pronta beva, tuttavia, secondo lui è in parte riconducibile a necessità pratiche ed economiche.

“Quando si avvia la produzione in una cantina nuova, il turnover dev’essere spedito, con un rapido ritorno sull’investimento, afferma Fourrier. Pertanto, si producono vini che possano essere bevuti giovani. Dopo aver avviato al successo una cantina, o una regione, il produttore può permettersi un approccio a lungo termine con i vini, pensando all’invecchiamento o alla conservazione. In questo senso, le regioni europee tradizionali possono contare su centinaia di anni di storia.

Già da lungo tempo, la Napa Valley ha dimostrato di saper produrre vini capaci di invecchiare bene. Per decenni, tuttavia, nella regione si è discusso con fervore dei fattori che consentono a un vino di migliorare con l’invecchiamento. Tor Kenward (Tor Wines) si ricorda di averne parlato con Robert Mondavi e André Tchelistcheff, un altro leggendario produttore di Napa Valley, 40 anni or sono. Seduti attorno a un tavolo, cercavano di capire quale fosse il fattore chiave per far invecchiare bene un grande vino. Il processo di vinificazione? La qualità o la concentrazione delle uve? O era solo questione di vendemmiare al momento giusto?

Tchelistcheff, cresciuto e formatosi in Europa, all’epoca produceva vino a Napa Valley da oltre quarant’anni e di questi suggerimenti fece poi tesoro. Si discusse di elevati livelli di acidità (basso pH), alta concentrazione di tannini e gestione dell’ossigeno e, pur riconoscendo l’importanza di tutti questi fattori, per lui un grande vino da invecchiamento aveva bisogno di “polpa”. Con questo, ricorda Kenward, intendeva dire che le uve dovevano avere un certo tipo di maturazione: non eccessiva, né precoce, ma perfetta maturazione fisiologica. A distanza di quarant’anni, Kenward è ancora convinto che Tchelistcheff avesse ragione, eppure si tratta di un aspetto spesso dimenticato quando si parla dell’invecchiamento di un vino.

Trovare questa perfetta finestra di maturazione fisiologica può essere complicato nelle regioni più calde e soggette al riscaldamento climatico, quindi per gran parte del Nuovo Mondo rappresenta un ostacolo. Queste regioni tendono ad essere più calde rispetto alle regioni vitivinicole storicamente marginali in Europa; l’uva, pertanto, può maturare rapidamente, ma quando ciò accade c’è il rischio che gli zuccheri si sviluppino prima che le bucce abbiano avuto il tempo necessario per raggiungere la maturità.

 

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I vigneti Dominus nelle aree più fresche a sud della Napa Valley.

Christian Moueix, grazie alle esperienze maturate da Pétrus, Trotanoy, altre tenute di alto livello di Pomerol e, oltre che Dominus nella Napa Valley, è considerato tra gli enologi più esperti al mondo. Come Tchelistcheff, crede nel ruolo fondamentale che della maturazione ottimale al momento della vendemmia, per produrre vini capaci di invecchiare. “Se la vendemmia è precoce, le uve presentano una quantità ridotta di composti fenolici estraibili [...], con il rischio che non si siano formate le catene e i legami più lunghi, tali da renderli stabili”. D’altra parte, in caso di maturità eccessiva, “questi composti fenolici si degradano per ossidazione”.

Per Moueix, i climi temperati in Europa sono ideali per “sviluppare e mantenere un elevato rapporto di composti fenolici”, mentre in molte regioni del Nuovo Mondo c’è una propensione al calore eccessivo, all’eccessiva maturazione e quindi alla vinificazione ossidativa che, a suo avviso, “può contribuire a fare invecchiare prematuramente i vini”. Nei climi più caldi, afferma Moueix, “il calore estremo associato alle reazioni enzimatiche e fisiochimiche degrada gli antociani all’interno dell’acino, abbassando la concentrazione dei composti fenolici totali e, di conseguenza, la capacità del vino di resistere all’ossidazione, con un conseguente invecchiamento precoce”. Per Moueix, quindi, il clima temperato (indipendentemente dalla zona geografica) è determinante per la produzione di vini adatti all’invecchiamento.

Questo, secondo lui, è il motivo per cui Dominus riesce a invecchiare così bene’. Quest’angolo della Napa Valley meridionale è relativamente mite, grazie alle correnti fresche provenienti dalla Baia di San Pablo. Di conseguenza, l’accumulo di zuccheri rallenta e i tannini all’interno degli acini hanno il tempo di maturare. Inoltre, non viene utilizzata l’irrigazione, sottoponendo le viti a uno stress maggiore e producendo acini piccoli con un’alta concentrazione fenolica.

Come Moueix e Tchelistcheff, per Fourrier ciò che conta è il momento della vendemmia e l’alta concentrazione di tannini, ma questi fattori, più che al microclima, sono riconducibili all’età della vite. “Più le viti invecchiano, più si riduce la dimensione dell’acino”, spiega Fourrier. Questo permette di ottenere un elevato rapporto buccia-succo e una concentrazione naturale. Per Fourrier è questa concentrazione naturale a conferire il potenziale di invecchiamento, più che i processi in cantina.

Tutti sono d’accordo sul fatto che la capacità di invecchiamento dei vini rossi dipende dalla qualità degli acini, ricchi di antociani (idealmente provenienti da viti più vecchie) e raccolti al momento giusto per estrarli una volta raggiunto il grado ottimale di maturazione. Questi fattori interessano i produttori del Vecchio Mondo tanto quanto quelli del Nuovo Mondo.

Paul Roberts, Master Sommelier e COO di Colgin, nella Napa Valley, sostiene giustamente che, in genere, nelle regioni del Nuovo Mondo, dove il clima è favorevole, si producono concentrazioni di tannini più elevate rispetto ai climi più freschi del Vecchio Mondo. Infatti, devono prestare molta attenzione a estrarre meno tannini durante la vinificazione, non di più, per mantenere nel vino l’equilibrio necessario al suo invecchiamento. Il vigneto IX Estate di Colgin, situato sul versante montuoso, a Pritchard Hill, produce acini mediamente più piccoli del 30% rispetto a quelli coltivati a Pauillac. Spesso, osserva Roberts, i Cabernet della Napa Valley hanno un rapporto buccia/succo più elevato rispetto ai First Growth di Bordeaux e quindi tannini molto più “antiossidanti” rispetto ai loro omologhi bordolesi. Moueix ritiene che sia la concentrazione di tannini e fenoli presenti nelle bucce a proteggere il vino dall’ossidazione e dalla degradazione; i vini di alto livello prodotti nella Napa Valley hanno il potenziale per durare più a lungo dei migliori Bordeaux.

Andy Smith, enologo della tenuta DuMOL Russian River, produce alcuni dei migliori Pinot Noir della regione e, come per Colgin, le sue uve producono tannini in abbondanza. Rispetto alla Borgogna, il suo Pinot Nero presenta acini più piccoli, “con bucce insolitamente spesse che assicurano un’enorme risorsa naturale se si sceglie di estrarre in toto”. Secondo Smith, “ci sono tutti i presupposti per ottenere vini intensi e profondi, strutturati per l’invecchiamento e con un’elevata acidità naturale”. Come Colgin, è l’eccesso di tannini a preoccupare di più la tenuta DuMOL. “Il fattore più importante è dato da un’estrazione bilanciata”, afferma Smith, “per saper cogliere gli elementi positivi e tralasciare quelli in eccesso dalle bucce”.

Secondo l’autorevole enologo cileno Francisco Baettig (Errazuriz, Seña e Chadwick), l’eccesso di tannino e di estrazione di alcuni vini più ambiziosi tende a mettere in dubbio la reputazione del Nuovo Mondo di produrre vini con una lunga capacità di invecchiamento. Egli raccontava che 10-15 anni prima “i produttori erano ossessionati dai vini ‘“mostruosi’”, con molta estrazione e cercavano di estrarre quanti più tannini possibili”. Molti produttori di Bordeaux facevano lo stesso all’epoca, ma il clima diverso, come evidenziato da Roberts e Moueix, per la maggiore concentrazione di tannino, è determinante per il tannino e per l’estrazione. “In Cile, dove l’intensità e i livelli di maturazione sono più elevati, l’estrazione avviene molto più rapidamente”, spiega. Questo ha portato a un’estrazione eccessiva: “vini ruvidi, troppo tannici e che non invecchiano bene”.

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I vigneti DuMOL Russian River in California

Per i produttori del Nuovo Mondo, una migliore gestione dei tannini è decisamente la chiave per produrre vini che possano invecchiare bene. Produttori come Tor, Colgin, DuMOL e Baettig ritengono che l’estrazione delicata dei tannini e la riduzione del contatto dei vini con l’ossigeno siano fondamentali per l’invecchiamento. Nei climi europei, più freschi e meno soleggiati, si potrebbe sostenere che in passato, ’vi era il rischio che i tannini, così difficili da estrarre, fossero gestiti con scarsa precisione. In quest’ottica, Baettig osserva che il Vecchio Mondo potrebbe imparare dal Nuovo Mondo come adattare al meglio la produzione vinicola agli effetti del cambiamento climatico; per molti versi, lo sta già facendo. I viticoltori guardano già ad annate soleggiate come il 2005 e il 2010 (con alti livelli di tannini estraibili) e si interrogano sull’estrazione apparente eccessiva, di tannini da parte di alcuni produttori, adattandosi di conseguenza in annate come il 2019 e il 2020.

Trasformare l’uva in vino è una magia; la trasformazione secondaria che può avvenire con la maturità è forse ancora più straordinaria. Tuttavia, un vino così promettente può deludere se lasciato in cantina troppo a lungo, diventando una versione fragile e amara di quello che era prima. Non sorprende che molti intenditori decidano di evitare tali rischi e di degustare la versione giovane e muscolosa di certi vini. 

È in atto anche un cambiamento culturale. Smith di DuMOL osserva che il consumatore medio statunitense non è particolarmente interessato all’invecchiamento del Pinot Noir e si chiede se l’invecchiamento del vino sia un concetto superato. In una società che privilegia la gratificazione immediata, i consumatori moderni sono impazienti e pochi hanno una cantina in casa. Non tutti i palati apprezzano gli aromi sapidi, tipici della maturità del vino. “C’è una grande differenza tra l’evoluzione positiva, la quasi stabilità e il graduale declino dell’ossidazione”, spiega l’esperto. “Tutto il vino vorrebbe trasformarsi in aceto!”.

Per questo motivo, alcuni viticoltori stanno deliberatamente rinunciando a produrre vini che raggiungano il picco massimo a 20 anni, cercando invece di produrre vini che attraggano i giovani e che diano il meglio di sé intorno ai 10 anni, adeguandosi alle esigenze dei loro clienti. Anche i vini rossi più tannici delle regioni tradizionali sono oggi molto più accessibili da giovani, cosa impensabile fino a pochi anni fa (come osserva Lisa Perrotti-Brown MW).

Produrre vino pregiato è un’arte, soprattutto quando si tratta di gettare le basi per il futuro di un vino. La scelta del momento perfetto per la vendemmia in un determinato clima, così come il giusto stile e il livello di estrazione in cantina determineranno la capacità di invecchiamento di un vino, ma solo se la qualità della materia prima ha tutte le carte in regola. Grazie al perfezionamento degli strumenti di vinificazione, non è più necessario aspettare che i tannini si addolciscano per degustare anche i migliori Bordeaux o Napa Valley. Questo significa che i vini non invecchieranno più fino a 50 anni? O che non possano migliorare in un periodo così esteso? Assolutamente no. Il vino pregiato, che sia del Vecchio o del Nuovo Mondo, ha probabilmente una finestra di consumo più lunga che mai, regalandoci sempre più opportunità di degustarlo.

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